Considerazioni su Media Freedom Act

Di Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti

I temi dell’informazione, nel contesto di un ecosistema digitale in continua evoluzione, sono centrali sia per le moderne democrazie che per lo sviluppo economico. Riteniamo pertanto utile e proficua l’iniziativa dell’Unione Europea che prova a delineare uno scenario normativo coordinato a livello comunitario nel campo della libertà e del pluralismo dell’informazione considerati “beni comuni e di primaria importanza”.

Il contesto generale in cui giunge la proposta di regolamento europeo è ben delineato nel Media Freedom Act . Nella mia veste di presidente dell’Ordine dei giornalisti mi concentrerò sugli aspetti che riguardano la nostra professione, svolgendo solo alcuni accenni a tematiche che rientrano nella sfera di altre istituzioni o autorità indipendenti.

L’Ordine dei giornalisti ha partecipato alla fase del “dibattitto pubblico” che ha preceduto l’elaborazione del testo inviando alla Direzione competente della Commissione europea, nel marzo del 2022, un documento con le nostre osservazioni sul tema. Lo scorso 10 gennaio l’Ordine è stato audito, sempre sull’MFA,  presso la Commissione Politiche Europee del Senato della Repubblica italiana.

Il varo della proposta di regolamento denominato European Media Freedom Act ci consente una valutazione più specifica delle misure proposte dalle istituzioni europee ora al vaglio dei Parlamenti nazionali.

Siamo ovviamente al corrente del dibattito sulla natura e la funzione dello strumento regolatorio proposto, ossia dell’adozione di un regolamento invece che di una direttiva. Così come del dibattito inerente i principi di sussidiarietà e proporzionalità della legislazione europea rispetto a quella degli stati nazionali.

Sicuramente è utile una armonizzazione almeno delle norme fondamentali che riguardano gli operatori dell’informazione. Concordiamo sul fatto che, in questo settore, vi sia una “elevata frammentazione normativa che può condurre a forti disparità di trattamento fra uno stato dell’Unione e un altro”. Un coordinamento e una impostazione unitaria delle legislazioni nazionali può sicuramente essere un importante stimolo a osservare  i principi della libertà di espressione, del rispetto delle persone, del pluralismo e della correttezza dell’informazione.

Già nell’articolo 4  viene evidenziato un aspetto di estrema importanza per iL giornalismo: Gli Stati membri, comprese le autorità e gli organismi nazionali di regolamentazione: (…)  non trattengono, sanzionano, intercettano, sottopongono a sorveglianza o a perquisizione e sequestro o a ispezione i fornitori di servizi di media o, se del caso, i loro familiari, i loro dipendenti o i relativi familiari, o i loro locali aziendali e privati, perché rifiutano di rivelare informazioni sulle loro fonti, a meno che ciò non sia giustificato da un’esigenza di rilevante interesse pubblico (…).

E poi prosegue:  (Gli Stati etc.) non utilizzano spyware in alcun dispositivo o macchinario utilizzato dai fornitori di servizi di media o, se del caso, dai loro familiari, o dai loro dipendenti o dai relativi familiari, a meno che l’utilizzo non sia giustificato, caso per caso, da motivi di sicurezza nazionale.

La Commissione Europea intende quindi dare un forte segnale agli Stati membri sulla necessità di tutelare le fonti, e quindi il segreto professionale dei giornalisti. Queste indicazioni potrebbero sollecitare, in Italia,  una rivisitazione dell’articolo 200 del Codice di procedura penale che, pur riconoscendo il segreto professionale per i giornalisti, è parziale e consente interventi invasivi da parte della magistratura.

Sarebbe certamente utile una uniforme definizione e applicazione del segreto professionale in ambito giornalistico, come peraltro auspicato molte volte dal Consiglio d’Europa e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Allo stesso modo sarebbe utile affermare il principio di libero accesso alla fonti istituzionali, a partire da quelle non coperte da segreto riguardanti gli atti di indagine. In Italia sono evidenti le difficoltà a dar conto dei fatti di cronaca a causa delle interpretazioni adottate da molti Procuratori della Repubblica delle recenti norme sulla presunzione di innocenza. Interpretazioni che si stanno rivelando incoerenti e contraddittorie, quando non totalmente restrittive.

Sullo stesso tema sarebbe utile porre, anche in sede europea, una indicazione sul rapporto fra diritto all’oblio e libertà di informazione. È un tema di assoluta trasversalità. Il diritto all’oblio non può essere esercitato quando si tratta di eventi, anche lontani  nel tempo, che riguardano fatti di grande rilevanza pubblica e che hanno inciso profondamente nella storia. Basti pensare alle vicende di mafia, criminalità organizzata, terrorismo, ai grandi crack finanziari. Ci sono storie che non possono essere cancellate o sepolte invocando il pur legittimo rispetto della riservatezza della persona. Sarebbe paradossale avere notizie di media francesi, tedeschi, spagnoli su fatti di mafia o su stragi avvenute nel nostro Paese e far calare il silenzio sui media italiani

Nel presentare la proposta di regolamento la Commissione Europea sottolinea quanto segue: l’iniziativa integra la raccomandazione relativa alla garanzia della protezione, della sicurezza e dell’empowerment dei giornalisti, nonché la proposta di direttiva e la raccomandazione sulla protezione delle persone attive nella partecipazione pubblica da procedimenti giudiziari manifestamente infondati o abusivi (SLAPP –  Strategic Lawsuit Against Public Partecipation, ovvero: azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica.

Il riferimento della Commissione è a quelle che noi chiamiamo, in via semplificata, “querele-bavaglio” o “azioni  giudiziarie di stampo intimidatorio”. Una realtà che pone l’Italia tra gli osservati speciali da parte delle istituzioni europee insieme ad alcuni altri Paesi dell’est Europa. Ho avuto modo di far presente alla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, nel corso della Conferenza stampa di fine anno (e l’anno precedente al presidente Mario Draghi), la necessità di approvare delle norme che possano disincentivare l’avvio di azioni giudiziarie palesemente infondate nei confronti dei giornalisti. Mi riferisco sia alle denunce penali per diffamazione che alle esorbitanti richieste risarcitorie in sede civile. Sono strumenti che pesano come macigni sulla libera attività dei giornalisti, soprattutto se precari o free lance, su quella dei piccoli editori e, più in generale, sulla libertà di espressione di cittadini singoli o associati.

Il Media Freedom Act non entra nel merito di tali aspetti, ma il fatto che essi siano richiamati come elementi di contesto ne sottolinea l’importanza e la gravità della situazione. A nostro avviso sarebbe utile avere nell’EMFA un riferimento più esplicito a tale problema pur sapendo che esso dovrebbe essere oggetto di una specifica proposta di direttiva europea.

Il Media Freedom Act entra nel merito della libertà di mercato delle imprese editoriali e di quelle dell’informazione online. Più volte si fa riferimento al ruolo dei giornalisti come “professionisti dell’informazione” e  principali  artefici di una informazione di qualità”. Allo stesso tempo il testo sottolinea come non si possa entrare nel dettaglio della definizione di “libertà di espressione” proprio per non  introdurre  limiti o interpretazioni restrittive a tale principio.

Nasce la domanda: come si definisce “l’informazione di qualità” nell’ambito di una regolamentazione transnazionale che mira a garantire autonomia, pluralismo e libertà dei media in Europa? Questo tema è stato posto anche in Italia con ripetuti interventi da parte di diversi esponenti del governo fra i quali il  sottosegretario all’editoria Alberto Barachini.  Un tema – quello del riconoscimento e del sostegno all’informazione di qualità – che l’Ordine condivide e che da tempo sollecita.  Alcuni  parametri qualitativi, quali l’osservanza della deontologia e l’assenza di sanzioni disciplinari, il rispetto e l’applicazione del contratto di lavoro, la propensione ad investimenti per l’innovazione, potrebbero essere considerati quali fattori premianti nel quadro dei meccanismi di sostegno e incentivi – nazionali ed europei – all’informazione. I principi enunciati nella bozza di Regolamento e gli impegni al sostegno all’informazione indipendente potrebbero costituire un importante punto di riferimento per la definizione di norme più specifiche nel nostro Paese.

Mi preme soffermarmi, in questa sede, sul ruolo che viene riconosciuto nel Media Freedom Act ai giornalisti quale componente essenziale del sistema dei media e dell’informazione. In effetti, l’autonomia e l’indipendenza dei giornalisti, e quindi un’informazione professionale di qualità, sono condizioni indispensabili per garantire la diversità di punti di vista, di opinioni e l’assenza di qualsiasi tipo di discriminazione nella narrazione dei fatti.

Occorre riconoscere il ruolo nuovo e di maggior importanza che la figura del giornalista assume nei nuovi scenari tecnologici e mediatici. Tale profilo andrebbe  garantito dalle leggi degli Stati lasciando ai giornalisti le funzioni di autogoverno della categoria, come avviene in Italia con la presenza dell’Ordine che lamenta, però, strumenti e procedure assolutamente inadeguate.

L’articolo 5 del regolamento delinea alcune prescrizioni per i fornitori di media per i servizi pubblici, comprese alcune indicazioni per le governance. Rispetto alla durata del  mandato si legge: “essa è stabilita dalla normativa nazionale ed è adeguata e sufficiente a garantire l’effettiva indipendenza del fornitore di media del servizio pubblico”. Troviamo nel Media Freedom Act una forte preoccupazione sull’utilizzo da parte dei governi dei servizi pubblici di media ai fini della generazione del consenso.

Su questo punto l’Ordine dei giornalisti ha più volte espresso una posizione chiara. Abbiamo ribadito l’importanza e la centralità del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia e in Europa, oggi in chiave multipiattaforma. Abbiamo sottolineato la necessità che esso sia dotato delle risorse necessarie a garantire la “mission” che gli viene affidata dal contratto di servizio. Allo stesso tempo abbiamo rimarcato l’importanza per il servizio pubblico di avere una governance che non sia diretta emanazione del governo in carica, al fine di svolgere con indipendenza e autonomia le funzioni di guida di una delle più importanti industrie culturali e dell’informazione in Italia.

In merito alle concentrazioni nel settore dei media, ci sembra interessante la proposta di monitoraggio e intervento individuata dalla Commissione, che si andrebbe ad aggiungere alle norme  vigenti  per la concorrenza e antitrust.

Sulle grandi piattaforme del web vengono definite diverse azioni mirate alla trasparenza delle proprietà, all’accessibilità, alla tutela dei fruitori e alla correttezza dei contenuti. Lascia perplessi il fatto che si rimandi comunque ad una sorta di autoregolamentazione degli stessi soggetti in campo e non ci si ponga il problema di una seria normativa antitrust nel campo della raccolta della pubblicità digitale da parte di pochissimi grandi player. 

In ogni caso, sia per il tema delle concentrazioni che su quello delle piattaforme,  ci allontaniamo dalla sfera di diretta competenza dell’Ordine dei giornalisti, anche se le dinamiche dell’ecosistema digitale hanno enorme importanza e necessiterebbero un approfondimento dettagliato.

Infine una nota sul regolatore Europeo, ossia la proposta di un “Comitato Europeo per i servizi di Media”. Dal nostro punto di vista ci sembra funzionale passare dal semplice coordinamento europeo delle autorità di regolazione  (ERGA) ad una struttura più stabile.

Complessivamente riteniamo quindi interessanti le proposte messe in campo dalle istituzioni europee, soprattutto nella parte che riguarda la necessità di rendere uniformi una serie di regole e norme che riguardano la tutela della libertà di stampa e l’agibilità dei giornalisti di fronte ai nuovi scenari della comunicazione digitale. Ci auguriamo che le istituzioni europee  procedano sulla strada della condivisione e della partecipazione  per la definizione di norme comuni per un settore strategico per la libertà e la democrazia.